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Non una pluralità di voci - non un coro - canta in questo libro di Nicola Licciardello, ma una e una sola voce, tuttavia plurima, cioè molteplice in sé. Una voce-Proteo, capace di incarnare ininterrotte metamorfosi segniche, grammaticali, semantiche; e anche, si direbbe, una voce-apsar??: per la connaturale sua propensione ad affrancarsi da qualsivoglia cerimonia sintattica non conceda, alla flessibilità linguistica che ne articola i gesti-fonemi, di mettersi a danzare. In altre parole, la voce di La gioia dell'impossibile si immagina libera da ceppi: tradizioni, tendenze, stili, tecniche, lingue storiche, dialetti, idioletti; non rigettandoli alla rinfusa di una ispirazione banalmente desiderante ma, al contrario, assumendoli tutti. Voce come danza, appunto, e mai danza su (linguistiche) macerie. Danza, come nelle figurazioni di Angkor o di Khajuraho; danza come «forza della vita elementare». «Grazia plena» essa stessa è questa voce danzante che invita a «bailar y ?otar ligeramente en cuerpo / Y alma juntos jubilando en el máximo placer».